Il complotto Volkswagen
L’affaire Volkswagen diventa sempre più complicato. Il laboratorio tedesco che ha scoperto la truffa VW si è dato molto da fare: è andato in America a comperare le auto, e poi ha fatto i suoi esami. Con i risultati che sappiamo. E già questo solleva un certo sospetto. Si tratta di un ente no-profit che probabilmente non nuota nell’oro, ma ha trovato i mezzi per fare quello che poi si è visto. Legittimo ilo sospetto chenduietro9 ci possa essere qualsiasi cosa: guerra interna alla VW, guerra fra marchi, guerra Usa-Germania.
Qualcuno fa anche notare che sul mercato americano è in corso una guerra quasi mortale fra la giapponese Toyota e la tedesca Volkswagen. Quest’ultima si era data come obiettivo aziendale di passare da mezzo milione di vetture vendute a un milione nel giro di appena un anno.
Le due case avevano adottato strategie differenti. La Toyota ha deciso di puntare tutto sui modelli ibridi a benzina. La Volskwagen sui diesel. La loro arma era il minor costo di gestione rispetto alle vetture americane, sia pure con due strategie differenti.
E qui spunta la grana. La Volkswagen non aveva alcuna auto pronta per il mercato americano, in grado cioè di rispettare i limiti (un po’ manicomiali: il doppio di quelli europei). E così ha messo a bordo delle sue vetture il famoso software truffaldino: l’obiettivo, ricordiamolo, era quello di raddoppiare le vendite in appena dodici mesi e battere la Toyota. E quindi c’era molta fretta.
Ancora due cose. In America molti avvocati specializzati in class action stanno raccogliendo le adesioni per una maxi-causa alla casa tedesca: si prevede che sarà una battaglia molto pesante (anche in termini di soldi). Inoltre, da parte di vari esperti si sottolinea che una cosa del genere (la tru8ffa)non poteva essere decisa solo da poche persone: si tratta di un’iniziativa almeno da consiglio di amministrazione. Quelli che finiranno nelle grane sono quindi tanti.
Ultima domanda: ma la Volkswagen sarebbe stata in grado di fare un auto per l’America nel rispetto delle norme là vigenti sulle emissioni? La risposta è molto semplice: sì, a patto.
A patto di sacrificare qualcosa in termini di prestazione delle vetture e del loro costo. E di avere un po’ più di tempo. E questo dei limiti è un problema serio: le autorità dei vari paesi stanno imponendo all’industria dell’auto limiti, sicuramente graditi alla popolazione, ma che rendono molto più complicato “fare auto”, soprattutto se poi non si vuole rinunciare a prestazioni e costo.
Secondo l’Epa, il gruppo aveva impiegato un particolare software che permetteva di ottenere dati in linea con i parametri richiesti per i veicoli a gasolio solo nel corso dei test, mentre nella guida reale le emissioni reali potevano superare fino a 40 volte quelli dichiarati. Poco meno di un anno fa, Hyundai e Kia erano state multate per dati non veritieri con un’ammenda di 100 milioni di dollari: si trattava della più alta sanzione mai comminata per un’infrazione di questo genere. La possibile cifra che Volkwagen rischia di pagare fa impallidire rispetto a quella versata dai coreani.
“Mi rincresce profondamente aver deluso i nostri clienti e l’opinione pubblica”, ha dichiarato Winterkorn. Il caso è stato elevato a “priorità assoluta” dallo stesso numero uno, che potrebbe venire chiamato a rispondere personalmente poiché è stato responsabile del marchio per anni. Oltreoceano è stata già bloccata la vendita di alcuni modelli a gasolio.
A giudizio di Ferdinand Dudenhöffer, studioso ed esperto del ramo automotive, il ruolo di Winterkorn non è sostenibile per il gruppo perché o sapeva della manipolazione oppure i suoi manager gliela tenevano nascosta, due situazioni non compatibili con il suo mandato di CEO. “Nessun politico potrebbe rimanere al suo posto in circostanze come queste”, ha ammonito Dudenhöffer.
Volkswagen ha fatto sapere di collaborare con le autorità: un atteggiamento che solitamente contribuisce almeno a ridurre l’impatto della sanzione. Secondo la normativa americana, inasprita dopo la vicenda che ha riguardato General Motors (che ha appena accettato di pagare una multa di 900 milioni, che molti osservatori ritengono insolitamente bassa), per ogni vettura coinvolta la sanzione può raggiungere i 37.500 dollari.
I modelli per i quali sarebbe stato impiegato il sistema in grado di “taroccare” i dati sarebbero Jetta, Passat, Beetle, Golf e anche Audi A3 (lo riferisce la Sueddeutsche Zeitung) prodotti tra il 2009 ed il 2015 per un totale di 482.000 unità.
Volkswagen ha ammesso la contestazione (“i fatti sono veri”). Si tratterebbe di una violazione del “Clean Air Act”. Cynthia Giles, portavoce dell’EPA, ha già stigmatizzato il comportamento del costruttore tedesco. Parlando del software, ha dichiarato che “impiegare simili metodi per aggirare i parametri sulla protezione ambientale è illegale e significa mettere a rischio la salute pubblica”.
Sul Financial Times si riferisce di un rapporto del centro di ricerca scientifica della commissione europea che già nel 2013 evidenziava le criticità dei test effettuati sulle auto, invitando ad optare per delle prove su strada, più utili a scovare frodi. La casa tedesca annuncia il richiamo degli 11 milioni di veicoli su cui è montato il sistema che permette di camuffare le emissioni in sede di omologazione.
Volkswagen, quella prima truffa ai tempi di Hitler
Nel 1938 venne promessa un’auto a milioni di tedeschi per 5 marchi alla settimana, ma nessuno vide mai ciò per cui aveva pagato (eccetto Hitler)
Anche l’inizio della Volkswagen è segnata da una vicenda poco edificante, per non dire di peggio. Migliaia di tedeschi pagarono buona parte del prezzo dell’auto ma non videro mai la loro vettura. Con lo scoppio della guerra la fabbrica creata per costruire “l’auto del popolo” che avrebbe dovuto motorizzare la Germania (fino ad allora solo un tedesco su 50 aveva un’automobile) venne riconvertita alla produzione militare e i clienti rimasero con in mano un pugno di mosche. La fabbrica era stata inaugurata da Adolf Hitler nel 1938 e, su iniziativa di Ferdinand Porsche, aveva in progetto di realizzare l’antesignana del Maggiolino.
«Un’auto capace di portare due adulti e due bambini a cento chilometri l’ora», aveva ordinato il Führer. La Volkswagen, da costruire in almeno un milione di esemplari, sarebbe costata 990 marchi e la gente l’avrebbe pagata con uno schema di risparmio settimanale:«Funf Mark die Woche musst du sparen, willst du im eigenen Wagen fahren», Cinque marchi alla settimana devi risparmiare se la tua macchina vuoi guidare. Gli acquirenti avevano in mano un libretto sul quale venivano attaccati i buoni che certificavano i versamenti. Si iscrissero più di trecentomila tedeschi, che pagarono regolarmente le loro quote. Con il 1939 e l’invasione della Polonia, i programmi della fabbrica cambiarono. Si iniziarono a produrre (in buona parte grazie al lavoro degli schiavi prelevati dai campi di concentramento) le Kübelwagen, vetturette militari che la Wehrmacht usò su tutti I fronti. Nessuno vide mai una Volkswagen, a parte Hitler al quale prima della guerra ne venne consegnato un prototipo in una cerimonia ripresa dai cinegiornali. Agli acquirenti rimasero solo i libretti con sopra attaccati i buoni pagati.
Volkswagen, ecco cosa deve fare chi ha uno dei modelli incriminati
Gli automobilisti in possesso di un’auto con motore 2.0 diesel Tdi (chiamato EA 189) immatricolata prima del 1 settembre 2015, riceveranno una lettera di richiamo.
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