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15/02/10
Esperienza personale di ciclismo urbano
Esperienza personale di ciclismo urbano
Perché uso la bicicletta nei miei spostamenti urbani?
Una forma latente di snobismo mi ha portato ad accettare questa che all’inizio mi è parsa una sorta di sfida personale alla società, a mio giudizio un po’ troppo a misura di auto.
Ora mi trovo ad utilizzare la bicicletta per raggiungere il mio posto di lavoro a circa 4 Km da casa mia: tenendo conto che pranzo a casa, ogni giorno percorro 16km solo per recarmi a lavoro. Non sono pochi ma nemmeno tanti, insomma non mi è venuto il sedere di pietra. Per quando piove mi porto appresso incerata e pantaloni da pioggia e vado a lavoro (sempre 16km pausa pranzo compresa).
Anche se per questo motivo vengo additato sul lavoro (e fuori) quale “fondamentalista”, ho già fatto un certo proselitismo: alcuni colleghi hanno cominciato a recarsi sul posto di lavoro in bici, anche se limitatamente al periodo estivo.
Come ci si trova? Quali sono i vantaggi?
Praticando il mountainbike oramai da 10 anni non ho avuto problemi di affiatamento con il mezzo meccanico; sono in grado di risolvere autonomamente tutti quei piccoli inconvenienti che si possono presentare (no, non sono in grado di saldare un telaio spezzato, non perlomeno sul bordo della strada), conosco per esperienza le reazioni del mio corpo per cui so dosare le energie per fare chilometri e chilometri, ho un buon occhio per anticipare le mosse degli altri utenti della strada.
E’ abbastanza scontato dire che mi trovo bene a muovermi in bici, meno scontato è affermare che in auto mi trovo male! Stare fermo incolonnato con il motore acceso mi innervosisce più di prima; andare a fare la spesa con l’auto e cercare un posto dove parcheggiare mi fa ammattire; andare al mare in auto, impiegando 10 minuti per arrivare a Marina e altri 20 minuti per cercare il parcheggio (e non trovarlo) mi fa bollire il sangue, oltre al radiatore dell'auto.
In bici non ho di questi problemi: che ci sia traffico, che non ci sia, che piova o ci sia il solleone io impiego lo stesso tempo per andare a lavoro, ovvero lo stesso tempo che impiegherei con l’auto in condizioni di traffico ottimali.
Andando in bici ci si rende conto che ti puoi permettere più lussi rispetto all’auto:
- puoi andare da casa fino in centro, fino in collo a Canapone,
- puoi andare a fare alla spesa senza aver bisogno del posto libero, basta un muro dove appoggiare la bici e due borse laterali per portare la spesa (a patto di saper rinunciare alle offerte 3x2 per motivi di peso ed ingombri);
- scopri che per andare da un punto A ad un punto B con la bici farai sempre la strada più breve, basterà seguire la linea più diretta evitando i palazzi;
- con la bici fai ginnastica quando ti sposti, (pensate che ottima alternativa costituisce rispetto alla mezz’ora di traffico persa per andare in palestra a fare spinning…).
E quali gli svantaggi?
Lo svantaggio principale è dato dall’ambiente in cui ci si muove: usando una definizione abbastanza stereotipata si può dire che la strada è una sorta di giungla ove la parte del leone è tenuta dalle auto (ora ci sono anche i SUV…).
Il ciclista in questa giungla, non essendo certo la creatura più “robusta” ha dalla sua la propria agilità.
Applicando il concetto di “difesa attiva” e “difesa passiva” vediamo che il ciclista fruisce solo della prima, ovvero possiede l’agilità che le permette di schivare le situazioni di pericolo.
Invece l’auto, pur mantenendo una certa capacità di evitare incidenti (abilità del guidatore, freni efficaci, tenuta di strada), possiede anche la difesa passiva data dalla struttura stessa dell’automobile la quale protegge il guidatore (e dobbiamo contare anche i vari air-bags e cinture di sicurezza).
Se dovessi affidarmi alla “difesa passiva” offertami dal telaio della bici starei lustro!
Cosa si potrebbe fare per migliorare la situazione?
Una rete ciclabile cittadina costituisce già di per sé una buona cosa, pur mantenendo personalmente una certa scetticità sulle piste ciclabili urbane per il semplice motivo che non necessariamente esse coprono il tragitto per andare dove voglio io, o nei casi migliori, non rappresentano affatto la via più breve.
Per farla breve, se devo andare in un posto distante 1 km non voglio essere costretto a fare la “ciclabile del parco” di 3 km!
E poi, finché il Codice della Strada mi annovera tra gli utenti della strada, io vorrei utilizzare in sicurezza (evidenzio: in sicurezza) tutto quello che viene definito “strada” e non solo la parte di essa denominata “pista ciclabile”.
Quindi a mio giudizio (ribadisco, a mio giudizio) salutiamo con gioia la prossima realizzazione di piste ciclabili urbane ma non consideriamola un punto di arrivo….
Cosa si potrebbe fare per incentivare le persone a muoversi in bici?
La pista ciclabile in questo senso è un valido aiuto per incoraggiare le persone a recarsi a lavoro o in centro in bici, questo poiché essa garantisce la pedalata in sicurezza senza avere il patema d’animo di sentirsi minacciati dagli altri mezzi circolanti.
Ecco che traspare come l’incentivo maggiore venga dato dalla percezione di sicurezza che avverte il cittadino-ciclista quando fruisce della strada: ogni azione volta in questo senso (piste o corsie ciclabili, rallentatori di velocità, “zone 30” ecc.) costituisce una base importante.
Altri fattori prettamente “culturali” possono influire non poco sulla decisione di utilizzare la bici: una nuova percezione del cittadino in bici non più come “pezzente-perché-va-in-giro-in-bici” ma come persona che non si fa condizionare dagli status-symbol ai quali antepone la comodità e il piacere di vivere la città a viso scoperto, portando il proprio contributo a non intasare-intasarsi nell’ambiente urbano divenuto sempre più ostile.
Personalmente il tragitto casa-lavoro in bici mi ha permesso di poter apprezzare particolari della città finora ignorati poiché con l’auto ero impegnato a tenere il mio posto nella auto-colonna delle 7.55 (e al ritorno in quella delle 17.00)
Che consigli dare a chi vuole usare la bici per muoversi in città?
I consigli in tale campo possono andare in varie direzioni:
- consigli sulla sicurezza
- consigli sull’abbigliamento
- consigli sul mezzo
consigli sulla sicurezza
Tenere conto che pedalando in città l’essere visti è importante quanto e forse più del vedere: non sempre infatti viene percepita la nostra presenza dall’automobilista, tendenzialmente sensibile alla percezione solamente di altri autoveicoli.
Porre attenzione in tale senso anche nel sorpassare a destra auto ferme o che procedono più lentamente di noi: non vedendoci, potrebbero svoltare improvvisamente a destra chiudendoci la strada.
NON posizionarsi mai a lato di camion! È difficilissimo esser visti e in caso di svolta degli stessi c’è un certo rischio di finirvi tra le ruote…
Sarebbe importante a mio avviso l’obbligo per i camion dell’installazione di barre di protezione laterale poste tra le ruote anteriori e posteriori, ciò al fine di evitare che il ciclista o il pedone possa accidentalmente finire nello spazio sopra descritto e subito dopo sotto le ruote posteriori. In alcuni paesi questo dispositivo è obbligatorio per legge, sarebbe bello lo fosse anche in Italia.
Prestare la dovuta attenzione negli incroci: avere la precedenza non vuol dire automaticamente che ci daranno la precedenza.
Dato il suo piccolo ingombro nella strada, il ciclista talora viene sottovalutato se non ignorato.
Tempo fa una tipa mi tagliò la strada per immettersi nella mia carreggiata, non prima di aver guardato oltre la mia sagoma per vedere se dietro di me vi era la presenza di qualche auto (come se io fossi trasparente).
A tale scopo ricordarsi che il maggior pericolo viene da lato e non da dietro!
Per quel che riguarda l’utilizzo del casco in città (toh, ecco una forma di difesa passiva) ci sono diverse scuole di pensiero: casco sì perché protegge da traumi, casco no perché non protegge da traumi…
La discrezionalità in questo caso è l’unica risposta: chi si sente di indossarlo lo indossi, ci sono tanti bei caschi in commercio per ogni capoccia (e sono pure trendy se può interessare).
Consigli sull’abbigliamento
Se è freddo copritevi, se è caldo no. Tutto qui.
Vi sono in commercio capi specifici per il ciclista, in tessuti dai nomi più esotici e dalle proprietà al limite del taumaturgico, ma tutto ciò ovviamente non ha senso per andare a lavoro (posto che ne abbia anche nelle attività sportive).
Basterà vestirsi normalmente, e decorosamente, magari evitando sciarpe svolazzanti o cappelli altrettanto svolazzanti. Molto comoda sarà una striscia di velcro per poter fasciare il pantalone destro all’altezza della caviglia per evitare di sporcarsi con la catena.
Per la sera consiglio un bel gilet arancione con retroriflettenti, quello che si trova in commercio nei distributori di benzina (e a metà prezzo dalle altre parti), sotto i fari delle auto ci rende luminosi come una divinità indiana. Sconsigliato ai timidi e agli introversi.
Al fine di fronteggiare eventuali precipitazioni consiglio di portare con sé una incerata (o kee-way) ed un paio di pantaloni dello stesso materiale: in caso di necessità ci consentono di arrivare a destinazione abbastanza asciutti.
Per i più audaci (nella guida e nel look) consiglio di adottare lo stile dei bike-messengers, in “italiano” pony express: pantaloncini da ciclista con fondello, soprapantaloncini, scaldamuscoli, magliette, giubbe antivento, incerate (la famosa vestizione a cipolla), casco, il tutto ovviamente di un colore diverso dall’altro. Tutto questo è giustificato dal variare della temperatura giornaliera visto che la mattina fa più freddo del pomeriggio; il colore più chiassoso non è dovuto ad una voglia di emulazione dei pappagalli, ma è funzionale allo essere visibili, che per un bike-messenger solitamente dotato di guida aggressiva può far la differenza tra consegnare una missiva in tempo e spalmarsi su un cofano di auto.
Eventuali bagagli possono essere portati indosso con uno zaino o sulla bici mediante borse e portapacchi.
Solitamente preferisco il secondo sistema per una questione di “libertà articolare” anche se lo zaino ha il vantaggio (e talora svantaggio) di essere sempre al seguito del ciclista e non con la bici .
Molto comoda la borsa anteriore che permette di avere quel che serve a portata di mano (cellulare, biscotti, attrezzi, guanti, macchina fotografica, fate voi…)
Consigli sul mezzo
Anche qui non ci sono pregiudiziali, come dire, “de gustibus”.
Dividendo le bici per 4 grandi categorie si può dare una succinta descrizione delle stesse:
Bici da corsa
bici leggerissima e scattante, è quella che trasforma meglio di tutte la forza muscolare in moto rettilineo. Per mostrare questo privilegio necessita di un mondo tutto suo, costituito da strade asfaltate senza buche o difetti. In città può essere usata, a patto di saper convivere con scossoni e botte provenienti dall’asfalto imperfetto sulle ruote; se trovate una stradina sterrata potete solo ignorarla.
Mountain bike
Robusta anche se non eccessivamente pesante, è una sorta di trattorino per poter andare nelle strade più impervie mantenendo la possibilità di percorrere comunque tratti asfaltati (la definizione più corretta per questo tipo di bici è francese: VTT ovvero Velò Tout-Terrain). Non possiede assolutamente la scorrevolezza e lo scatto di una bici da corsa, però le sue gomme di cospicua dimensione assicurano un confort maggiore e una protezione dalle varie imperfezioni stradali.
E’ a mio avviso ridondante per la città la presenza di elementi ammortizzanti anteriori e posteriori, che tanto vanno di moda oggidì. Essi hanno ragion d’essere nel campo elettivo della mountain bike, ovvero le strade sconnesse, le mulattiere e i sentieri; per la città una coppia di ruote da 1.95’ è sufficiente.
City bike
Se il meglio sta nel mezzo questa bicicletta dovrebbe essere il meglio, rappresentando una sorta di compendio delle caratteristiche delle due tipologie sopra elencate.
Simile alla bicicletta da corsa, possiede ruote di maggiore sezione, posizione confortevole con manubrio largo e freni da mountain bike, quasi sempre dotato di portapacchi, parafanghi ed impianto di illuminazione (che bello…).
La bici autarchica
Mi sia consentito di inserire a pieno titolo le vecchie bici “da uomo” con cerchi in ferro e freni a bacchetta, catena e corona completamente coperte da carter parafanghi, un rapporto solo, fanale modello Citroen 2CV, mozzi con oliatore e robustezza infinita: reperti archeologici di un’era pre-consumistica, nella quale ciò che si creava doveva durare nel tempo (decenni, non stagioni). Basti pensare che tuttora “vanno a ruba” in tutti i sensi.
Tirando, ma veramente tirando, le somme si può affermare:
bici da corsa = velocità
mountain bike = robustezza
city bike = comfort
Vi è una differenziazione anche in termini di prezzo: si va dal mod. “supermercato” da 100 euro al modello da fanatico da 5000 euro ed oltre. Possiamo tradurlo anche come da modello “pericoloso” a modello “spreco di soldi”.
Una bici decente deve garantire un telaio robusto che non si spezzi nelle saldature o nei tubi, deve garantire una componentistica funzionale e funzionante con un cambio che non si accartocci su se stesso quando viene azionato un po’ più bruscamente, deve garantire che i freni arrestino la bicicletta come e quanto serve e che non si squaglino al contatto con i cerchi (sembra quest’ultima una cosa ridicola ma ci sono stati dei morti anche in Italia per questo motivo).
In Italia le city bike sono solitamente quelle un po’ più trascurate tecnicamente e nella componentistica, dovendo rispondere anche a criteri di economicità ed essendo rivolte ad utenti non esperti che hanno come unico parametro il costo dell’oggetto, salvo poi presentare mille piccoli problemi nell’utilizzo quotidiano.
Per ora, questo è quanto. Il discorso non è chiuso qui, ovviamente: vi sono altri dettagli che approfondiremo in fase successiva (alla prossima botta di ispirazione).
A questo punto di commiato, quindi, non resta che salutarvi augurando a voi cari lettori una bella esperienza in bici (o, in alternativa, una bella coda in auto...)
Giuseppe Rosalia
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