(anche se sono importanti, proprio come le api)
Le vespe sono insetti per lo più odiati, almeno stando a quanto risulta da un’indagine condotta
dall’University College London in collaborazione con l’Università di Firenze. Ma c’è un motivo: la loro importanza, non inferiore a quella delle amate api, è poco nota, e questo le rende meno apprezzate
delle “cugine” dotate anch’esse di pungiglione.
Indubbiamente le vespe sono insetti non del tutto innocui, ed in alcuni rari casi la loro puntura può
provocare severe reazioni allergiche. A strisce gialle e nere (almeno per le specie presenti qui),
possono pungere più e più volte, perché, a differenza delle api, non muoiono dopo l’attacco.
Questo le rende, a volte, più aggressive.
Certo, è noto che preferiscano le nostre case ai buchi negli alberi (spesso costruiscono i loro nidi nelle
vicinanze delle imposte delle finestre o nei cassoni delle tapparelle) e quindi la loro presenza può
essere più “invadente” di quella delle api. Inoltre sono attratte da diversi nostri alimenti, rovinando non di rado pic nic e gite all’aperto.
Ma non sono “cattive” (come non lo è nessun animale), e in realtà reagiscono solo se si sentono in
qualche modo minacciate. Ma soprattutto, hanno un ruolo fondamentale per l’equilibrio degli ecosistemi e nell’impollinazione, rendendole importantissime come le api.
“É chiaro che abbiamo un legame emotivo molto diverso con le vespe rispetto alle api
– spiega a questo proposito Seirian Sumner, coautore dello studio –
Abbiamo vissuto in armonia con le api per un tempo molto lungo, addomesticato alcune specie, ma le
interazioni con la vespa umana sono spesso sgradevoli”
.
“Nonostante questo, abbiamo bisogno di rivedere attivamente l’immagine negativa delle vespe per
proteggere i benefici ecologici che portano al nostro pianeta. Stanno affrontando pericoli simili a quelli che corrono le api e questo è qualcosa che il mondo non può permettersi”
.
Sì perché, purtroppo, non solo le api rischiano l’estinzione, ma anche le vespe e, se questo dovesse
malauguratamente avvenire, i danni al nostro Pianeta sarebbero altrettanto disastrosi. E la nostra
percezione così negativa non aiuta, anzi, potrebbe peggiorare le cose.
Questi imenotteri, a quanto risulta dalla ricerca, sono quasi universalmente detestati. Lo studio ha infatti analizzato le risposte ad un questionario di 748 intervistati provenienti da 46 Paesi (anche se il 70% erano dal Regno Unito), contenente domande sulla percezione relativa a insetti tra cui mosche, farfalle, api e vespe, quest’ultime classificatesi agli ultimi posti di apprezzamento.
Ma i ricercatori non si sono fermati a questo, cercando anche di capire i motivi, attribuiti soprattutto alla mancanza di conoscenza dei vantaggi che le vespe apportano alla salute
e all’equilibrio del nostro pianeta.
E la cosa sorprendente è che questa mancanza di conoscenza parte dallo stesso mondo della ricerca: il
team ha infatti scoperto che le vespe sono una scelta impopolare di insetti anche a livello scientifico,
fatto di uomini e donne, che molto probabilmente hanno la stessa percezione negativa generalizzata.
La prova arriva dalle pubblicazioni: dei 908 articoli campionati dal 1980, solo il 2,4% (22 documenti)
riguardava vespe, contro il 97,6% (886 articoli) focalizzato sulle api. Analogamente dei 2543 atti di
convegni su api o vespe degli ultimi vent’anni, l’81,3% era sulle api.
Un loop da cui è urgente uscire, anche perché risulta del tutto immotivato, e tra l’altro mediato da
pochissime specie più “invadenti”: le vespe “classiche” e i calabroni per lo più, ma che rappresentano
meno dell’1% delle vespe pungenti, quelle sociali, con più probabilità di entrare in contatto con noi. 67 specie contro le 75.000 solitarie.
“La preoccupazione globale per la diminuzione degli impollinatori ha provocato un incredibile livello di interesse pubblico e di supporto alle api. Sarebbe fantastico se ciò si potesse raggiungere anche per le vespe, ma sarebbe necessario un completo cambiamento culturale nell’atteggiamento verso di loro”
ha aggiunto Alessandro Cini, altro coautore della ricerca.
Il quale, ammette, dovrebbe iniziare dagli stessi scienziati.
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