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19/02/22

Al Figlio di Montesano

Al Figlio di Montesano


Lettera aperta al giornalista sig. Tommaso Montesano. 
Buongiorno, la presente, in risposta alla Sua affermazione su Twitter relativamente alle bare di Bergamo. 
Non conosco le ragioni, se esistono, che L’hanno spinta a quella dichiarazione Assurda che ha fatto Lei , ma Le voglio spiegare le mie, che mi portano a dissentire totalmente, con estremo sconforto e dolore. 
La fotografia a cui lei fa riferimento, è un’immagine che, ad oggi, tocca ancora molto profondamente, riportando, soprattutto chi, come me, è di Bergamo, a rivivere quanto vissuto allora, perché dimenticare è impossibile. 
In quel periodo la città era piombata in un silenzio irreale.
Tutto sembrava essersi fermato. Gli unici rumori, che arrivavano come spade alle orecchie di tutti, erano le sirene delle ambulanze che, Le garantisco, si contavano a centinaia, soprattutto la notte.. 
Ogni volta che suonava il telefono, nel mio caso solitamente intasato da chiamate di lavoro, era per annunciare che qualche amico o parente era deceduto: ci sono stati giorni in cui personalmente ho perso anche nove persone nelle ventiquattro ore! E ho avuto amici a cui sono mancati entrambi i genitori (fino a quel momento sani e senza patologie pregresse) in meno di una settimana.. 
In questo clima di angoscia perenne, che non trovava tregua, il dolore più grande era dato dal fatto che chi si contagiava, e doveva essere ricoverato in ospedale, dal momento in cui veniva caricato in ambulanza, restava solo.. fino alla fine. Il personale sanitario, già gravato da una situazione lavorativa assurda e mai provata, si trovava così ad essere l’unica e ultima famiglia di quei malati che in quei reparti trovavano la morte. Ma nemmeno dopo, i veri familiari potevano riabbracciare i propri cari defunti! L’ultimo ricordo rimasto loro, risaliva al momento in cui i propri congiunti avevano lasciato la propria abitazione verso l’ospedale.. 
Non so se Lei abbia mai perso qualcuno di caro, ma non poterlo salutare, mi creda, è devastante! Perché poterlo vedere, l’ultima volta, prima dell’addio definitivo, permette in qualche modo di elaborarne il distacco.
La fotografia da Lei messa in discussione, descrive esattamente la situazione che si è verificata qui: i cimiteri non avevano più spazio, le camere mortuarie neppure, e anche le Chiese della città e della provincia, messe a disposizione delle imprese funebri, per contenere le bare, erano oltre la capienza massima. Si è arrivati così a chiedere aiuto ad altre città proprio per queste ragioni.. 
Io non mi capacito di come si possa dubitare di quella fotografia (che peraltro è il fotogramma di un video).
In quell’immagine ci sono tutte le lacrime di una popolazione stremata e impotente. 
C’è la disperazione di chi non ha potuto nemmeno assistere alle esequie dei propri cari, spesso accompagnati alla sepoltura solo dal cappellano del cimitero, e solo dopo molti mesi ha potuto farne celebrare una piccola funzione alla memoria.. 
Ci sono i sorrisi spenti di bambini che si sono trovati improvvisamente senza nonni, e che proprio su quella strada, proprio in quei giorni, negli anni addietro, venivano da loro accompagnati a vedere ben altri tipi di carri, in un clima di festa, tra coriandoli e mascherine.. 
No. Io non La sospenderei dal Suo incarico di giornalista. Ma poiché, come tale, ha il dovere di informare chi La legge sullo stato dei fatti, come in una sorta di “riabilitazione penale” La incaricherei di incontrare tutte (e dico tutte!) le persone che in quei carri avevano qualcuno di caro, per farsi raccontare i dettagli e, così, poter finalmente conoscere e descrivere la verità (l’unica), che ad oggi evidentemente ignora, su una tragedia che ha segnato e ancora segna ciascuno di noi. 
Mi creda, Le basterebbe guardarle negli occhi..  E Le garantisco che ne avrebbe per così tanto tempo, che probabilmente La occuperebbero fino alla fine della Sua carriera.. 
La ringrazio per l’attenzione
Cordiali saluti 
Chiara Gheza 
Bergamo, 11/02/2022


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