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20/04/22

Nel 2022 la Russia torna agli accordi di Bretton Woods

Nel 2022 la Russia torna agli accordi di Bretton Woods

Nel 1944 furono siglati degli accordi noti come “Bretton Woods” (dopo la grande depressione del 1929 e due guerre mondiali) in cui si stabiliva che il dollaro americano era l’unica moneta agganciata all’oro. Tali accordi rimasero in vigore fino al 1971-73, quando fu raggiunto un accordo tra i membri del G10 per rimediare al caos monetario creato dall’allora presidente Nixon, che nel 1971 aveva approvato la legge che sospendeva l’obbligo per la Federal Reserve di convertire dollari in oro al rapporto fisso di 35 dollari l’oncia, stabilito nel 1944 a Bretton Woods. Nixon si comportò così perché la guerra del Vietnam era costata agli USA 12.000 tonnellate d’oro, mettendo a rischio le riserve del Paese. Così, con la fine del legame tra dollaro e monete estere lo standard aureo fu sostituito dal sistema di cambi flessibili. Nel 2022 la Russia torna agli accordi di Bretton Woods, ma questa volta la valuta di riferimento per chi commercia con la Russia è il rublo. Un affronto all’élite di banchieri che da almeno tre secoli padroneggia senza pari. La Russia è il terzo estrattore al mondo di oro, è il quinto detentore di riserve custodite entro i confini e non raggiungibili dalle sanzioni. Non come l’Italia, che è il terzo Paese al mondo come detentore di oro, ma nei propri confini ne ha solo una minima parte. L’operazione è stata avviata dalla Banca centrale di Mosca che sta rastrellando tutte le riserve presenti negli istituti del Paese, pagando l’oro 5.000 rubli al grammo, che corrisponde attorno a 50 dollari, quando il mercato internazionale oggi lo valuta 63 dollari. Inoltre i cittadini russi possono acquistare oro senza pagare l’Iva del 20%. Prima, quando si vendeva un lingotto d’oro in una banca, non era previsto un rimborso dell’IVA: il che rendeva l’operazione non redditizia. Ora il ministero delle Finanze ha definito l’investimento in oro “un’alternativa ideale all’acquisto di dollari” (di solito le persone detengono i loro contanti in dollari poiché il rublo è volatile). Dopo l’invasione russa dell’Ucraina e l’imposizione di sanzioni da parte dei Paesi occidentali, la Banca centrale ha limitato il prelievo di contanti dai conti in valuta estera a 10.000 dollari e ha introdotto una commissione elevata per l’acquisto di valuta estera in borsa. Mi sbaglierò, ma ho l’impressione che il dollaro e l’euro siano due valute destinate a frantumarsi molto presto.


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Cercano Schiavi : Alessandro Borghese e Flavio Briatore

Cercano Schiavi : Alessandro Borghese e Flavio Briatore


La migliore risposta ad Alessandro Borghese e a Flavio Briatore, che Dicono che i Giovani NON hanno voglia di Lavorare ed Imparare un Lavoro , alla fine, l'ha data lui. 
Il suo nome è Emanuele, un uomo di 32 anni originario di Scampia. Un uomo che non ha mai avuto la fortuna di avere, al contrario di chi fa prediche, una famiglia agiata. 
Anzi, perse suo padre dopo aver compiuto 18 anni.
"Sono Emanuele, un ragazzo di 32 anni, nato e cresciuto a Scampia. Ho perso mio padre poco dopo aver compiuto 18 anni, ma avevo una passione, quella del caffè, 
che poi a Napoli è una vera e propria cultura. 
Pur di non delinquere, visto il quartiere problematico e viste le tante responsabilità che mi hanno praticamente rubato l'adolescenza, ho deciso di voler imparare il mestiere di barista.
Lavoravo in un bar di Napoli, iniziavo alle 6.30 e se tutto andava bene finivo alle 17.00. Durante il periodo estivo iniziavo alle 6.00 e se tutto andava bene finivo alle 23.00.
Ho iniziato guadagnando 120 euro a settimana, che moltiplicati per 4 settimane totalizzano 480 euro. Vivevo con mia mamma ma senza mio padre e con i miei soldi riuscivamo a fare ben poco: una piccola pensione di reversibilità e la fortuna di una casa popolare aiutavano
 a poterci permettere un piatto di pasta al giorno. 
Dopo quasi 8 anni, la mia paga è salita a 180 euro a settimana che moltiplicati per 4 totalizzavano 730 euro al mese. Nessun contratto, se mi ammalavo era un mio problema, le ferie erano solo 7 giorni in estate, contributi mai versati, forse solo 2 anni.
Dopo 8 anni di sangue versato per imparare, di psicologia applicata per relazionarti al pubblico, di pianti fatti di nascosto perché ero stanco ma non potevo mollare, ero arrivato a guadagnare 200 euro in più rispetto all'inizio senza nessun riconoscimento, nemmeno morale, anzi dovevo ringraziare del lavoro, se così lo vogliamo chiamare, che mi era stato concesso.
Sai cosa è successo poi? È successo che avevo un sogno, quello di aprire un bar tutto mio e ci ho provato in tutti i modi, Dio solo sa quanto volte ci ho provato, quante notti non ho dormito per i progetti i disegni l'arredamento. 
Morale della favola: dopo 12 anni, ho preso il mio bel sogno e l'ho chiuso in un cassetto, mi sono diplomato, ho lasciato Napoli e ora sono un tecnico che lavora sulla fibra ottica a Bologna e tutte le volte che entro in un bar a prendere un caffè provo odio e tanto rancore verso chi mi ha spezzato il cuore non permettendomi di inseguire il mio sogno, solo mio. 
Vedi, caro chef (Borghese), per poter vivere occorrono i soldi, eh sì, occorrono proprio i soldi. Occorrono soldi quando devi mangiare, perché nessuno ti regala nulla e in virtù di questo nessun giovane deve regalare il suo tempo perché non gli tornerà mai più indietro. Ti do un consiglio, sfrutta la tua popolarità insieme al tuo sapere per ottenere altri tipi di obiettivi".





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19/04/22

Noi siamo Contro la Nato

Noi siamo Contro la Nato



SANDRO PERTINI, NEL DISCORSO AL SENATO DEL 7 MARZO 1949 
IN CUI VOTÒ CONTRO L’ADESIONE DELL’ITALIA ALLA NATO
“Noi siamo contro il Patto Atlantico, prima di tutto 
perché questo Patto è uno strumento di guerra.
Ma il nostro voto è ispirato anche ad un’altra ragione. 
Questo Patto Atlantico in funzione antisovietica 
varrà a dividere maggiormente l’Europa, 
scaverà sempre più profondo il solco 
che già separa questo nostro tormentato continente.
Una Santa Alleanza in funzione antisovietica, 
un’associazione di nazioni, quindi, che porterà in sé 
le premesse di una nuova guerra 
e non le premesse di una pace sicura e duratura. 
Noi siamo contro questo Patto Atlantico 
dato che esso è in funzione antisovietica. 
Perché non dimentichiamo, infatti, 
come invece dimenticano i vostri padroni di oltre Oceano, 
quello che l’Unione Sovietica ha fatto durante l’ultima guerra. 
Essa è la Nazione che ha pagato il più alto prezzo di sangue. 
Senza il suo sforzo eroico 
le Potenze occidentali non sarebbero riuscite da sole 
a liberare l’Europa dalla dittatura nazifascista.


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Catherine Spaak

Catherine Spaak


“Ci ha lasciato Catherine Spaak, icona del cinema e della tv italiana, aveva 77 anni. 
Simbolo di donna libera, arrivata nel nostro paese a 15 anni, diede scandalo nell’Italia bigotta degli anni 60 e ha pagato un caro prezzo per le sue scelte. Le tolsero la figlia, un dolore mai rimarginato, lo ha raccontato più volte. 
Era il 1962, Catherine sul set di La voglia matta incontrò l’attore Fabrizio Capucci. 
“Ci innamorammo e restai incinta. Avevo 17 anni e, per la mentalità dell’epoca, era uno scandalo. Ero ospite a casa Capucci dopo il mio matrimonio con Fabrizio, ma non mi sono mai sentita a mio agio, così presi la bambina e scappai. Loro non me la perdonarono e sporsero denuncia, fui arrestata a Bardonecchia. In frontiera. Così mi riportarono a Roma con mia figlia, per tutto il viaggio in braccio a un carabiniere. Finimmo tutti in tribunale. Il giudice fece presto ma fu una tragedia».
Le tolsero la figlia. La motivazione:  la madre, essendo un’attrice, era di “DUBBIA MORALITÀ”. Quindi la bambina sarebbe rimasta con la nonna paterna. 
“Hanno distrutto la mia vita. E quella di Sabrina. Non ci siamo mai più ritrovate. Le hanno ripetuto: la mamma è cattiva. Ti ha abbandonato. Offese che hanno lasciato segni indelebili».
“Ho avuto la sfortuna di avere genitori leggeri. 
Quando ho avuto bisogno la mia famiglia non c’è mai stata. Ripeto. Avevo 17 anni.”

Se n’è andata, dopo una lunga malattia, Catherine Spaak. Aveva 77 anni. L'attrice, cantante, ballerina e conduttrice televisiva aveva collaborato con Grazia. Nata in Belgio, era da tempo malata. In Italia aveva debuttato a 15 anni nel film «Dolci inganni» di Alberto Lattuada. Era diventata famosa pochi anni dopo con i film «La voglia matta» diretto da Luciano Salce e  «Il sorpasso» di Dino Risi. La popolarità televisiva era arrivata con la sua conduzione di Harem  sulla Rai. Era stata sposata con l’attore Fabrizio Capucci e con il cantante Johnny Dorelli. Ciao, Catherine.        

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15/04/22

Regione Lombardia Contro se stessa

Regione Lombardia Contro se stessa


Regione Lombardia, per bocca di Letizia Moratti, annuncia provvedimenti per il taglio delle liste d'attesa per le prestazioni sanitarie. Le strutture che non raggiungeranno gli obiettivi stabiliti verranno sanzionate attraverso tagli dei rimborsi da parte della Regione stessa.
Quali le strade per realizzare il taglio delle liste d'attesa? 
Strutture e ambulatori aperti anche di sera e nei giorni festivi.
La realtà è completamente diversa. Come può la sanità pubblica regionale garantire aperture serali e festive se mancano completamente investimenti finalizzati all'assunzione di personale medico, infermieristico e amministrativo qualificato?
Sembra in realtà che ci si stia orientando verso il coinvolgimento di cooperative.
La scelta di affidare a soggetti terzi la sanità pubblica è, come ogni volta, mascherata denunciando una scarsa efficienza del settore pubblico che in realtà non è in sofferenza a causa di un suo difetto connaturato, ma è vittima del definanziamento e del dirottamento
 di capitali verso i privati che acquistano un vantaggio assoluto.
Ma il problema più rilevante è che queste scelte, e in particolare le sanzioni economiche, si tradurranno in un ulteriore vantaggio in termini di risorse verso le strutture private, perché queste possono senza problemi mettere in atto spostamenti di personale da un settore a un altro, 
provvedimenti impossibili nel settore pubblico.
Quindi non solo mancanza di investimenti nella Sanità Pubblica, ma un suo ulteriore impoverimento a vantaggio delle tasche private, come in Regione Lombardia avviene da 25 anni a questa parte.
Le parole di Letizia Moratti appaiono esattamente per quello che sono: una vuota promessa elettorale volta alla lenta e apparentemente inesorabile svendita dei servizi pubblici alle imprese private.



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Leghisti in Manette per Droga

Leghisti in Manette per Droga


La Lega resta contro la droga. Bene, frase giusta, 
frase fatta... Ma andiamo un pochino a vedere l'altra faccia della medaglia. 
Chi sono i leghisti finiti in manette a causa della droga?
Morisi, colui che ha creato tutta l'informazione social della Lega, il braccio destro di Salvini, l'uomo che decideva tutta la comunicazione della Lega. Ha perso il posto perché denunciato per aver dato droga dello stupro a dei ragazzi rumeni per divertirsi in una festa
 a base di orgie omosessuali... Il colmo.
Cavazza, consigliere Lega con la passione per il Duce. L'accusa lo vede nell'organizzazione di festini a base di sesso e droga con ragazze minorenni.
Furgiuele, deputato Lega. Manette per associazione mafiosa, droga e corruzione.
Iannone, Falco, Agostini tutti e 3 agli arresti per detenzione di droga. Falco addirittura indicato come pusher ben inserito nello spaccio di cocaina. Poi ricordiamo con affetto ( sarcasmo) l'ex segretaria della Lega che nel 2009 fu trovata con 8 kg di cocaina..


Leghisti in Manette per Droga




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13/04/22

Faccio Giornalismo, non Spettacolo

Faccio Giornalismo, non Spettacolo



Chi è la giornalista Rai, dal body shaming a Sanremo
È stata lei ad occuparsi dell’emergenza Coronavirus nel Paese dove tutto ha avuto inizio: ecco tutto quello che sappiamo sull’inviata Giovanna Botteri.

Giornalista pluripremiata e inviata speciale, Giovanna Botteri ha affrontato mille avventure nel corso della sua esperienza. È stata in molte zone di guerra, in prima linea in tantissime situazioni pericolose, fin quando non si è trasferita dapprima a New York e poi in Cina. Qui, nel 2020, si è trovata a doversi occupare di un’emergenza sanitaria mondiale: l’epidemia di Coronavirus. Nel 2021, è stata ospite nella serata finale del Festival di Sanremo, dove ha raccontato la sua esperienza nel paese dove la pandemia ha avuto inizio. Nel 2022 ha raccontato di aver avuto il Covid. 
Scopriamo qualcosa in più sul suo conto.



Giovanna Botteri, la biografia
Nata a Trieste il 14 giugno 1957, sotto il segno zodiacale dei Gemelli, Giovanna Botteri è figlia del giornalista ed ex direttore della sede Rai di Trieste Guido Botteri. Quella per la scrittura è una passione che ha ereditato dal papà, sebbene in origine Giovanna volesse fare tutt’altro. Si è infatti laureata in Filosofia all’Università degli Studi di Trieste, poi ha preso un dottorato 
in Storia del cinema presso la Sorbonne di Parigi.


Tuttavia, nei primi anni ’80 ha iniziato a scrivere articoli per alcuni giornali locali, facendosi pian piano conoscere. Nel 1985 è entrata in Rai, dove ha collaborato con Michele Santoro. Il suo scatto di carriera è stato approdare nella redazione esteri del TG3. La Botteri è diventata una delle inviate speciali di spicco, grazie ai suoi servizi dalle zone più calde del pianeta: è stata in Bosnia, in Algeria, in Sudafrica, in Iran, in Albania, in Kosovo, in Afghanistan e in Iraq, tutte zone di guerra.

Nel 2006 si è trasferita a New York come corrispondente dagli Stati Uniti, e dopo 12 anni di lavoro è approdata in Cina nell’agosto 2019. Solo pochi mesi dopo, Giovanna si è trovata ad affrontare una delle emergenze sanitarie più grandi dell’ultimo secolo. 
Dal focolaio del Coronavirus, si è occupata di questa epidemia.

La vita privata di Giovanna Botteri
La giornalista ha sempre fatto in modo che la sua vita privata rimanesse ben lontana dalle luci dei riflettori, tanto da non avere alcun profilo social. Non possiamo dunque trovare molti indizi sul suo conto, ad eccezione di qualche breve nota sulla sua vita sentimentale. Sappiamo infatti che Giovanna ha avuto una relazione con Lanfranco Pace, giornalista inglese naturalizzato italiano.

La coppia ha avuto una figlia, Sarah Ginevra Pace, che dopo un lungo percorso di studi in economia lavora come manager per un’importante azienda italiana. Giovanna ha vissuto a lungo a New York e dal 2019 abita a Pechino. Sappiamo che, come corrispondente dagli Stati Uniti, guadagnava uno stipendio di poco inferiore ai 200mila euro l’anno.

Nel gennaio 2022 ha raccontato a Domenica In di aver contratto il Covid e di essere stata male. “Sono stata male, soffro di alcune patologie, sono una bronchitica cronica e i vaccini mi hanno salvata dall’ospedalizzazione” ha detto.

5 curiosità su Giovanna Botteri
-In molti hanno notato come la giornalista indossi sempre maglie nere con lo scollo a V. Lei stessa ha rivelato di averne in armadio una grandissima quantità, tutte uguali.

-A TV Sorrisi e Canzoni ha spiegato di essere ancora tarata sul fuso orario italiano, dal momento che lavora in diretta con il TG3. Per questo motivo si trova a lavorare spesso fino a notte fonda.

-Ha tenuto dei corsi in Tecniche di comunicazione internazionale 
presso l’Università degli Studi di Udine.

-Nel maggio del 2020 Striscia la Notizia è finito nell’occhio del ciclone per un servizio proprio sulla giornalista Rai. Quelle critiche ai capelli, che tanto avevano di body shaming, non sono piaciute ai telespettatori. A nulla sono valse le scuse di Michelle Hunziker.

-Nel marzo del 2021 viene invitata come ospite da Amadeus per la serata finale del Festival di Sanremo.

"Ho 40 maglie tutte uguali, blu o nere, con lo scollo a V. Lavoro come una dannata tutto il giorno, corro, non ho tempo di pensare all’abito. Tranquilli perché le cambio ogni giorno e le lavo. I capelli? Si capisce che non sono freschi di messa in piega, ma mi pare di essere una donna normale.

Faccio giornalismo, non spettacolo. Sono io che devo raccontare, 
non diventare l’oggetto del racconto».

Giovanna Botteri

PS. Per tutti quelli che continuano a criticarla per il suo aspetto fisico.
Chapeau ❤

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Sostituita con Educazione Civica l'ora di Religione

Sostituita con Educazione Civica l'ora di Religione


La scuola italiana ha svariati problemi, tra mancanza di fondi, edifici fatiscenti, tetti che crollano in testa agli studenti e professori sospesi per mere ragioni politiche. A questi si aggiungono i dibattiti che la scuola si porta dietro da decenni, senza venirne a capo. Uno dei principali riguarda l’ora di religione, che non può essere né abolita né sostituita con una materia più ampia come “storia delle religioni” per un gioco di equilibri tra due Stati: l’Italia e il Vaticano.
Negli anni alcuni politici e comitati civili hanno tentato di modificare certe imposizioni, ad esempio nel 2019 una mozione depositata al Senato chiedeva di abolirla e di sostituirla con un’ora di educazione civica. La mozione, depositata da Riccardo Nencini, segretario nazionale del Partito Socialista Italiano, e firmata da Emma Bonino e da diversi altri parlamentari, prevalentemente del Pd e del M5S, nasceva dall’appello di Carlo Troilo, dirigente dell’Associazione Luca Coscioni. Troilo spiegava che l’obiettivo era quello di raggiungere la laicità dello Stato. Come specificava, non si trattava di “un obiettivo antireligioso, ma anzi profondamente rispettoso della libertà religiosa e di espressione”. Nel testo della mozione si faceva riferimento anche al cortocircuito per cui i professori di religione vengono scelti dalla Chiesa (in quanto non partecipano al concorso pubblico come gli altri) ma pagati dallo Stato. Si citava poi il fatto che i cattolici praticanti in Italia sarebbero in realtà solo il 30%, con percentuali ancora più basse tra i giovani. Per comprendere l’importanza di questo tema è necessario fare capire come si sia arrivati alla presenza, o all’imposizione, dell’ora di religione a scuola. Ovvero capire che non si parla di fede e spiritualità, ma di accordi politici.


Riccardo Nencini
Con l’Unità d’Italia venne introdotto, attraverso il regio decreto n.315 del 1861, l’insegnamento della materia “religione e morale”. La Breccia di Porta Pia comportò diversi mutamenti in Italia, tra cui la fine del potere temporale del Papa, e gli effetti furono tangibili anche in ambito scolastico. Nel 1870, infatti, la religione a scuola fu ridimensionata, con la possibilità di studiarla soltanto su esplicita richiesta dei genitori dell’alunno. Negli anni seguenti vennero soppresse le facoltà teologiche di Stato e abolita la figura del “direttore spirituale” nei licei. Nel 1888 venne ufficialmente cancellato l’insegnamento della religione, con la seguente motivazione: “Lo Stato non può fare, né direttamente né indirettamente, una professione di fede che manchevole per alcuni sarebbe soverchia per altri”. Poi arrivò il fascismo, e tutto cambiò.



Il primo passo fu il decreto del 1923 di Giovanni Gentile, dove venne reso obbligatorio l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole elementari. Il piano di Mussolini era quello di ottenere i favori della Chiesa, e si tradusse nei Patti Lateranensi del 1929. Fu la riconciliazione tra l’Italia e la Santa Sede dopo anni di allontanamenti, e produsse diverse conseguenze: in primis, venne fondato lo Stato della Città del Vaticano, la Chiesa ottenne risarcimenti milionari e il cattolicesimo divenne ufficialmente religione di Stato in Italia. Il concordato portò inevitabilmente all’ora di religione obbligatoria anche nelle scuole medie inferiori e superiori, come “fondamento e coronamento dell’istruzione pubblica”. 




Benito Mussolini legge i Patti Lateranensi al Cardinale Gasparri dopo la sottoscrizione ufficiale avvenuta presso il Palazzo di San Giovanni in Laterano, Vaticano, 20 febbraio 1929
Dopo la caduta del fascismo, la Costituzione fu scritta mettendo in rilievo la laicità dello Stato, ma decenni di Democrazia Cristiana mantennero salda la presenza della religione nelle scuole. Anche in questo caso si trattava di un equilibrio politico, con il partito scudocrociato strettamente influenzato dalla Chiesa. Dopo anni di dibattiti, il compromesso arrivò in seguito al concordato del 1984: “La Repubblica italiana, riconoscendo il valore della cultura religiosa e tenendo conto che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano, continuerà ad assicurare, nel quadro delle finalità della scuola, l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado”, ma senza l’obbligatorietà. È su questi accordi che si basa l’odierno insegnamento della religione: ogni settimana un’ora e mezza nelle scuole materne, due nelle primarie, una nelle scuole medie inferiori e superiori, con la possibilità degli studenti di non prenderne parte. Per quest’ultimi sono disponibili insegnamenti alternativi, ovvero attività didattiche e formative durante le ore di religione, con professori di altre materie o chiamati appositamente per quel compito. Questi insegnamenti alternativi sono legati “all’approfondimento di quelle parti dei programmi più strettamente attinenti ai valori della vita e della convivenza civile”. In pratica ci si avvicina a quell’educazione civica che la recente mozione propone di introdurre per sostituire l’ora di religione. Per raggiungere quell’obiettivo ci sono però paletti che rendono pressoché impossibile la realizzazione.


Il cardinale Casaroli e il primo ministro Bettino Craxi firmano il Concordato del 1984,
Per arrivare a questo cambiamento infatti non basta un decreto ministeriale o una qualsiasi legge, poiché andrebbe rivisto il concordato tra lo Stato e la Chiesa del 1984, a tutti gli effetti un “trattato internazionale”, secondo l’articolo 7 della Costituzione. Per rivedere un trattato con uno Stato straniero (e il Vaticano lo è) è necessario un accordo bilaterale, quindi il parere positivo della Santa Sede. Un vincolo non indifferente, considerando che il Vaticano non avrebbe alcun vantaggio a eliminare l’ora di religione dai programmi scolastici italiani. 

I governi di qualsiasi colore politico non sembrano avere alcuna intenzione di fare un torto alla Chiesa. Anzi, molti politici – Matteo Salvini in primis – hanno introdotto all’interno delle proprie strategie elettorali comunicazioni destinate a entrare nelle grazie del mondo religioso. Brandire il rosario (in modo inappropriato) e presenziare ai vari congressi delle famiglie ne sono un valido esempio.



Anche nel centrosinistra c’è una forte corrente teodem strettamente legata alla CEI che frena eventuali ventate progressiste del partito. L’errore che si compie quando si discute sull’insegnamento della religione a scuola è proprio quello di ridurlo a una questione politica. Di fatto lo è, perché le sedi preposte per eventuali modifiche sono politiche; eppure molti tendono a dimenticare un elemento fondamentale, ovvero la laicità dello Stato italiano. Chiedere di rimuovere l’ora di religione non è un atto eretico o una battaglia antireligiosa, ma addirittura dovrebbe trovare il supporto anche di chi nutre una sentita fede. Questo perché è possibile essere credenti e contemporaneamente portare avanti ideali di laicità. I due aspetti non sono antitetici. Il percorso della fede non deve subire un’imposizione, essendo personale, intimo nelle sue sfaccettature e, in teoria, distante dall’indottrinamento. Inoltre viviamo in un Paese dove sono sempre di più i cittadini di religioni diverse da quella cattolica. Non a caso una delle proposte alternative è quella di sostituire l’ora di religione con quella di storia delle religioni. D’altronde lo stesso papa Francesco ha più volte parlato di fratellanza tra religioni diverse, invitando al dialogo e al rispetto.


Papa Francesco
È vero che l’ora di religione è già facoltativa, ma i dati mostrano alcune verità dalle quali è difficile fuggire. Dal 1984, per anni la stragrande maggioranza degli studenti ha deciso di partecipare all’ora di religione, e soltanto nell’ultimo decennio il numero è sceso sotto il 90%. L’ultimo rilevamento dice che il 79% degli studenti ha seguito l’insegnamento religioso. Il dato dei “non avvalentisi” invece, secondo l’Ufficio statistica del Miur, è maggiore al Nord, soprattutto in regioni come Valle D’Aosta (41,6% di esenzioni) e Toscana (37,4%). Al Sud, invece, soltanto l’8,5% decide di abbandonare l’aula durante l’ora di religione. I numeri pendono ancora a favore dell’insegnamento religioso anche per motivi sociali: per un bambino non è facile decidere di “non fare come gli altri”, e lo stesso dicasi per i genitori, che preferiscono lasciare il figlio nel gruppo di maggioranza, per non farne una pecora nera. Fortunatamente con gli anni questi stereotipi sono in calo, soprattutto nei licei, grazie anche alla presenza sempre più rilevante di studenti stranieri che non seguono le ore di religione. Anche questo è un motivo per abolirle: evitare di creare distinzioni tra studenti e di dividere le classi. Soprattutto in età infantile, è una dinamica che frena l’aggregazione e genera distanze.



Nessuno nega l’importanza della religione nella Storia, nemmeno gli atei. Non è un caso se, qualche anno fa, è stata indetta una campagna per favorire lo studio della Bibbia a scuola come testo di studio pari alla Divina Commedia o all’Odissea, in quanto fondamentale per conoscere le radici dell’uomo e della civiltà. Tra i firmatari ci sono Umberto Eco, Margherita Hack, Massimo Cacciari e Gustavo Zagrebelsky, oltre ad altre personalità non di certo legate al mondo cattolico e, anzi, nella maggior parte dei casi convintamente atee. Il problema dell’ora di religione va però
 oltre il concetto stesso di religione.

È dunque necessario ribadire l’importanza della laicità dello Stato, che dovrebbe valere anche e soprattutto nella scuola pubblica. Rispettare il cattolicesimo e tutte le religioni senza però imporre un indottrinamento, capire che coltivare la fede non esclude una visione più ampia della società e del mondo, e che quindi anche i credenti dovrebbero spingere per avere un’altra materia in sostituzione dell’insegnamento religioso – che sia educazione civica, informatica, musica o economia. È altrettanto inevitabile il realismo di fronte al fatto che queste proposte resteranno tali, per lo meno fino a quando resisteranno gli accordi tra la Chiesa e lo Stato italiano. Ovvero tra due nazioni, dove la prima sembra sempre tenere in scacco l’altra.

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Lettera di Zelensky agli Europei

Lettera di Zelensky agli Europei


Cari europei,
innanzitutto voglio scusarmi per il fatto che ci siamo fatti invadere, so che la cosa vi procura dei fastidi come dice la vostra combattiva europarlamentare Donato. Capisco le lamentele che vedo sui vostri social, tipo: “dopo la pandemia ci mancava solo la guerra”. Vi assicuro che essere bombardati ogni giorno procura qualche fastidio anche a noi. Spero crediate almeno a questo.
Ascolto imparando un sacco di cose quando i vostri intellettuali criticano aspramente i miei messaggi se uso qualche espressione fuori luogo. Spero sia un’attenuante il fatto che in questo momento io sono l’uomo politico più sotto pressione del pianeta. Infatti, oltre al piccolo disagio per il fatto che  stanno massacrando il mio popolo, dormo tre ore a notte, bande di ceceni e altri mercenari assortiti mi cercano per uccidermi e ogni santo giorno che mi sveglio devo pensare a come elemosinare aiuti per i miei cittadini senza irritarvi troppo.
Mi scuso se data la mia inesperienza ho osato chiedere una no-fly zone. Ma vi prego di mettervi nei miei panni: quando ogni giorno ti arrivano notizie di donne stuprate, civili uccisi con un colpo alla testa, bambini che muoiono per mancanza di cure o sotto le bombe e città assediate dove la gente muore di fame, uno perde la testa. Però avete fatto benissimo a bacchettarmi. Non ho capito bene l’automatismo per cui scoppierà automaticamente la guerra nucleare se solo mi mandate qualche carro armato decente o se qualche vostro pilota volontario viene a darci una mano, magari portandosi dietro l’aereo (capisci a me). Ma poiché voi siete così certi e sapete tutto sarò io che mi sbaglio. 
Vi faccio solo umilmente notare che se accettate il fatto
 che non si può difendere uno stato perché se no un dittatore si innervosisce e bluffa con il ricatto nucleare, allora vedo un futuro piuttosto cupo. Perché certi furboni poi queste cose se le ricordano. 
Mi scuso in particolar modo col vostro eccellente prof. Orsini per l’eccessiva veemenza con cui noi ucraini ci stiamo difendendo invece di arrenderci. Mi dicono che sia tanto preoccupato per i nostri bambini, lo siamo anche noi, lo giuro. Purtroppo siamo gente semplice e ignorante che non capisce la complessità. A noi bifolchi da istintivamente fastidio farli crescerli sotto una dittatura per i prossimi 10, 20 o 30 anni. Proprio adesso che stavamo cominciando ad assaporare il profumo della libertà.
Mi rendo conto, come sottolinea il vostro bravissimo Antonio Padellaro, che resistendo ai simpaticissimi fratelli russi creo dei problemi a voi e agli americani, che sono prigioniero del mio eroismo e che senza di me la cosa si sarebbe potuta accomodare. Altri dicono il contrario, cioè che Biden ha tutto da guadagnare da questa guerra e che io sono un suo fantoccio. 
Attendo che vi mettiate d’accordo.
Un grazie di cuore per come state accogliendo i nostri profughi, mi vengono le lacrime agli occhi se solo ci penso. Certo, il vostro coltissimo Luciano Canfora, che giustamente venerate perché è un’intelligenza superiore, non crede che siano milioni perché a lui non gliela si fa. Grazie lo stesso, fossero anche poche decine.
La sera mi diverto un sacco a guardare i vostri talk dove persone intelligentissime continuano a ripetere che “in guerra la prima vittima e la verità” (che bella frase). Siete molto interessanti quando analizzate le foto della donna di Mariupol o quelle dei corpi martoriati di Bucha. Siamo lusingati di queste attenzioni. Dite pure a Freccero e Capuozzo di non darsi troppa pena per dei singoli episodi. Sono certo che i vostri inviati di guerra potranno confermarvi che di orrori e crimini di guerra gli ucraini ne stanno subendo a migliaia. Non  fissatevi sul singolo episodio come se da esso dipendesse il vostro giudizio definitivo. Per esempio vi confermeranno che da molti giorni 150.000 civili senza cibo, acqua, medicinali ed elettricità sono richiusi come degli animali a Mariupol, dove i fratelli russi non lasciano avvicinare neanche la Croce Rossa: stanno morendo come mosche tra le macerie. 
Vi ringrazio per l’unanime condanna a quel monello di Putin (ché se lo chiamo criminale poi dite che voglio  un’escalation). Siete davvero amanti della complessità quando esordite nei vostri discorsi con frasi come “Premetto che Putin è l’invasore e ha sbagliato ma…” e poi per 20 minuti parlate solo degli errori di noi ucraini o della NATO. Abbiamo molto da imparare noi sempliciotti. 
Non ho capito bene la vignetta di Vauro che rivendica il diritto di dire che gli sto sui coglioni, come se qualcuno gli negasse questo diritto. È buffo che proprio voi che avete la massima libertà continuiate a lamentarvi di essere censurati. Ma devo ancora prendere dimestichezza con i meccanismi dell’umorismo  occidentale. 
Un salutone all’ANPI che graziosamente non ha mai accusato noi ucraini di questa guerra ma ha sempre conservato una perfetta equidistanza. Sono quasi 80 anni che combattono il fascismo e poi quando si ritrovano un dittatore fascista in carne e ossa non lo sanno riconoscere, ma sono certo che tutto si riconduca a quella complessità che a noi sfugge. Un bacione alla preparatissima professoressa Di Cesare insieme alle nostre scuse. Non sapevamo che la parola “Resistenza” fosse un marchio depositato, non la useremo più, lo prometto. I nostri avvocati però ci hanno detto che possiamo usare il verbo “resistere” e ciò ci riempie di gioia.
Un ultimo ringraziamento ai vostri analisti che ci spiegano che l’unica soluzione è una trattativa di pace, “Grazie ar ca**o, non ci avevamo pensato” ha esclamato un mio collaboratore. 
Perdonatelo è un sempliciotto. 
Vi lascio con una frase che ho letto su Facebook e che forse sarà un po’ retorica: se i russi smettono di combattere finisce la guerra, se gli ucraini smettono di combattere finisce l’Ucraina.
Rinnovo le scuse per il fatto che sto cercando di mantenere alto l’umore del mio popolo massacrato dalle bombe con qualche frase retorica di troppo. Vi prego, guidatemi voi che sapete come comportarsi in questi casi. E sopratutto non abbandonate il mio popolo solo perché vi sto sulle palle o ho dei limiti personali. Vi assicuro che non è facile. Ma anche a buttarla sulla pura simpatia, davvero quello che sta al Cremlino vi sta così simpatico? 
Sinceramente vostro
Volodymyr Zelensky
(Versione per L’Italia by Elio Truzzolillo)

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11/04/22

Chi è Volodymyr Zelensky?

Chi è Volodymyr Zelensky?


Breve storia del leader profetizzato della "resistenza" ucraina.
●Nasce nel 1978 a Kryvyj Rih, in Ucraina meridionale.
Cresce in una famiglia di origini ebraiche. La sua prima lingua non è l'ucraino, ma il russo.
● Si laurea in giurisprudenza all'Università Economica Nazionale di Kyiv, poi persegue la carriera di attore.
● Nel 2003, insieme a Serhiy Shefir e Boris Shefir, Zelensky diviene il fondatore di 𝗞𝘃𝗮𝗿𝘁𝗮𝗹 𝟵𝟱 𝗦𝘁𝘂𝗱𝗶𝗼, società attiva nel settore dell’intrattenimento televisivo sulle emittenti ucraine, che produce film, cartoni animati e serie tv.
● Tra le serie più note di Kvartal 95 c'è <<Sluha Narodu>> (Servitore del Popolo).
In essa, Zelensky interpreta un professore del liceo che stanco della corruzione in politica, viene inaspettatamente eletto presidente dell'Ucraina.
● Nel 2017, Zelensky annuncia la fondazione di un suo partito: <<Servitore del popolo>>, rifacendosi alla popolare serie tv.
● Il 31 dicembre 2018, all'apice della sua carriera, Zelensky annuncia la sua candidatura alle elezioni presidenziali del marzo dell'anno successivo.
𝗜 𝗽𝘂𝗻𝘁𝗶 𝗳𝗼𝗿𝘁𝗶 𝗱𝗲𝗹 𝘀𝘂𝗼 𝗽𝗿𝗼𝗴𝗿𝗮𝗺𝗺𝗮 𝘀𝗼𝗻𝗼 𝗹𝗮 𝘀𝘂𝗮 𝗽𝗼𝗽𝗼𝗹𝗮𝗿𝗶𝘁𝗮̀, 𝗹𝗮 𝗹𝗼𝘁𝘁𝗮 𝗮𝗹𝗹𝗮 𝗰𝗼𝗿𝗿𝘂𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲, 𝗹𝗮 𝗹𝗶𝗺𝗶𝘁𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗼 𝘀𝘁𝗿𝗮𝗽𝗼𝘁𝗲𝗿𝗲 𝗱𝗲𝗴𝗹𝗶 𝗼𝗹𝗶𝗴𝗮𝗿𝗰𝗵𝗶 𝗲 - 𝗮𝗹𝗺𝗲𝗻𝗼 𝗶𝗻 𝗾𝘂𝗲𝗹𝗹𝗮 𝗳𝗮𝘀𝗲- 𝘂𝗻𝗮 𝘀𝗼𝗿𝘁𝗮 𝗱𝗶 𝗲𝗾𝘂𝗶𝗱𝗶𝘀𝘁𝗮𝗻𝘇𝗮 𝗱𝗲𝗹𝗹'𝗨𝗰𝗿𝗮𝗶𝗻𝗮 𝘁𝗿𝗮 𝗥𝘂𝘀𝘀𝗶𝗮 𝗲 𝗦𝘁𝗮𝘁𝗶 𝗨𝗻𝗶𝘁𝗶.
● Proprio in questo periodo, la società d’intrattenimento fondata da Zelensky, la Kvartal 95, registra un anomalo flusso di finanziamenti, gestiti attraverso società off-shore con sedi in paradisi fiscali, per un ammontare di 𝟰𝟬 𝗺𝗶𝗹𝗶𝗼𝗻𝗶 𝗱𝗶 𝗱𝗼𝗹𝗹𝗮𝗿𝗶.
● Il principale sovvenzionatore della campagna di Zelensky sarebbe Igor Kolomoyskyi, potente uomo d'affari dal triplo passaporto ucraino, cipriota e israeliano, già sponsor delle serie televisive del comico, nonché uno dei principali oligarchi dell'Ucraina.
● 𝗦𝗲𝗰𝗼𝗻𝗱𝗼 𝗾𝘂𝗮𝗻𝘁𝗼 𝗲𝗺𝗲𝗿𝘀𝗼 𝗱𝗮𝗶 𝗣𝗮𝗻𝗱𝗼𝗿𝗮 𝗣𝗮𝗽𝗲𝗿𝘀 (𝗣𝗣), 𝗹𝗮 𝗽𝗶𝘂̀ 𝗴𝗿𝗮𝗻𝗱𝗲 𝗶𝗻𝗰𝗵𝗶𝗲𝘀𝘁𝗮 𝗴𝗶𝗼𝗿𝗻𝗮𝗹𝗶𝘀𝘁𝗶𝗰𝗮 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗮 𝘀𝘁𝗼𝗿𝗶𝗮, pubblicata la prima volta a ottobre 2021 dal Consorzio Internazionale dei Giornalisti Investigativi (ICJI), le transazioni verso Kvartal 95 sarebbero avvenute quando Igor Kolomoyskyi era ancora proprietario di 𝗣𝗿𝗶𝘃𝗮𝘁𝗕𝗮𝗻𝗸, la più importante banca in Ucraina, coinvolta in un caso di bancarotta fraudolenta e investimenti illeciti.
● 𝗜𝗴𝗼𝗿 𝗞𝗼𝗹𝗼𝗺𝗼𝘆𝘀𝗸𝘆, 𝗮𝗻𝗰𝗵'𝗲𝘀𝘀𝗼 𝗱𝗶 𝗼𝗿𝗶𝗴𝗶𝗻𝗶 𝗲𝗯𝗿𝗮𝗶𝗰𝗵𝗲, 𝗲̀ 𝘀𝘁𝗮𝘁𝗼 𝘂𝗻𝗼 𝗱𝗲𝗶 𝗽𝗿𝗶𝗻𝗰𝗶𝗽𝗮𝗹𝗶 𝗳𝗶𝗻𝗮𝗻𝘇𝗶𝗮𝘁𝗼𝗿𝗶 𝗱𝗶 𝗮𝗹𝗰𝘂𝗻𝗶 𝗱𝗲𝗶 𝗴𝗿𝘂𝗽𝗽𝗶 𝗽𝗮𝗿𝗮𝗺𝗶𝗹𝗶𝘁𝗮𝗿𝗶 𝗻𝗲𝗼𝗻𝗮𝘇𝗶𝘀𝘁𝗶 𝗲𝗱 𝘂𝗹𝘁𝗿𝗮-𝗻𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗮𝗹𝗶𝘀𝘁𝗶 che, nel 2014, hanno rovesciato il governo Janukovich, in seguito a violente manifestazioni filoccidentali conosciute col nome di "Euromaidan".
● 𝗤𝘂𝗲𝘀𝘁𝗶 𝗴𝗿𝘂𝗽𝗽𝗶 𝗽𝗮𝗿𝗮𝗺𝗶𝗹𝗶𝘁𝗮𝗿𝗶 𝗰𝗵𝗲 𝘀𝗶 𝗽𝗿𝗲𝘀𝗲𝗻𝘁𝗮𝗻𝗼 𝗮𝗹𝗹'𝗼𝗽𝗶𝗻𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗽𝘂𝗯𝗯𝗹𝗶𝗰𝗮 𝗼𝗰𝗰𝗶𝗱𝗲𝗻𝘁𝗮𝗹𝗲 𝗰𝗼𝗺𝗲 "𝗽𝗮𝘁𝗿𝗶𝗼𝘁𝗶", 𝘀𝗼𝗻𝗼 𝗯𝗮𝘁𝘁𝗮𝗴𝗹𝗶𝗼𝗻𝗶 𝗽𝗿𝗶𝘃𝗮𝘁𝗶 𝗰𝗵𝗲 𝗼𝘁𝘁𝗲𝗻𝗴𝗼𝗻𝗼 𝗳𝗶𝗻𝗮𝗻𝘇𝗶𝗮𝗺𝗲𝗻𝘁𝗶 𝗱𝗮 𝗼𝗹𝗶𝗴𝗮𝗿𝗰𝗵𝗶.
Ovvero, unità militari accusate di crimini di guerra da parte di Amnesty International, ma anche dalle Nazioni Unite.
Anche secondo quanto riportato da Reuters, Pravyj Sektor, i Battaglioni Azov e Aidar, sono stati fondati in parte grazie all’aiuto dell’oligarca Kolomoysky.
● Nell'aprile 2019, Zelensky viene eletto Presidente dell'Ucraina, battendo nettamente al ballottaggio il presidente uscente, Petro Poroschenko.
● Zelensky provvede subito a distribuire incarichi governativi ai soci di Kvartal 95, la sua società di intrattenimento.
Ivan Bakanov, già direttore della società, diventa il capo dei Servizi Segreti dell’Ucraina, mentre Serhiy Shefir viene battezzato primo assistente del presidente.
● L'ex comico si trova subito a fronteggiare una brutta rogna: il coinvolgimento di Hunter Biden, figlio dell'attuale Presidente USA, nella Burisma Holdings, la maggiore compagnia energetica dell’Ucraina, attiva sia sul mercato del gas e del petrolio.
𝗗𝗮 𝘁𝗲𝗺𝗽𝗼, 𝗕𝘂𝗿𝗶𝘀𝗺𝗮 𝗲𝗿𝗮 𝗯𝗮𝗹𝘇𝗮𝘁𝗮 𝗮𝗴𝗹𝗶 𝗼𝗻𝗼𝗿𝗶 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗲 𝗰𝗿𝗼𝗻𝗮𝗰𝗵𝗲 𝗽𝗲𝗿 𝗲𝘀𝘀𝗲𝗿𝗲 𝗿𝗶𝗲𝗻𝘁𝗿𝗮𝘁𝗮 𝗶𝗻 𝘂𝗻 𝗴𝗶𝗿𝗼 𝗱𝗶 𝘁𝗮𝗻𝗴𝗲𝗻𝘁𝗶 𝗲 𝗰𝗼𝗿𝗿𝘂𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗰𝗵𝗲 𝗰𝗼𝗶𝗻𝘃𝗼𝗹𝗴𝗲𝘃𝗮𝗻𝗼 𝗽𝗼𝗹𝗶𝘁𝗶𝗰𝗶 𝗲𝗱 𝗲𝘀𝗽𝗼𝗻𝗲𝗻𝘁𝗶 𝗱𝗶 𝗽𝗼𝘁𝗲𝗿𝗲 𝗱𝗲𝗹𝗹'𝗨𝗰𝗿𝗮𝗶𝗻𝗮.
A completamento di ciò, per il lavoro di consulente di quella società, dal 2014 al 2019, Hunter Biden ha percepito 𝟱𝟬 𝗺𝗶𝗹𝗮 𝗱𝗼𝗹𝗹𝗮𝗿𝗶 𝗮𝗹 𝗺𝗲𝘀𝗲.
● Donald Trump, all'epoca presidente degli USA, aveva affermato che Joe Biden -suo competitor nella lotta per l'investitura alla Casa Bianca- avesse chiesto il licenziamento di un procuratore ucraino che indagava sul figlio, in modo da proteggerlo. Nonostante le pressioni di Trump, 𝗭𝗲𝗹𝗲𝗻𝘀𝗸𝘆 𝘀𝗶 𝗿𝗶𝗳𝗶𝘂𝘁𝗼̀ 𝗱𝗶 𝗮𝗽𝗿𝗶𝗿𝗲 𝘂𝗻'𝗶𝗻𝗰𝗵𝗶𝗲𝘀𝘁𝗮 𝗮𝗹 𝗿𝗶𝗴𝘂𝗮𝗿𝗱𝗼.
In tutta risposta, Trump decise di bloccare gli aiuti economici e militari degli USA destinati all’Ucraina.
● Nacque così l’Ucrainagate, che si è trascinato per tutta la campagna elettorale delle presidenziali USA nel corso del 2020, fino all'elezione di Joe Biden.
● A testimoniare i buoni rapporti tra l’attuale inquilino della Casa Bianca e Zelensky sono state le parole pronunciate dal presidente ucraino nel dicembre 2020, quando Joe Biden è stato eletto Presidente degli Stati Uniti: <<Lui conosce l’Ucraina meglio del precedente presidente e aiuterà davvero a risolvere la guerra nel Donbass e a porre fine all’occupazione del nostro territorio>>.
● Nel giugno 2021, alcuni giornalisti britannici hanno pubblicato un documentario: “𝘼 𝙇𝙊𝙏 𝙊𝙁 𝙃𝙊𝙏 𝘼𝙄𝙍, 𝙒𝙝𝙤’𝙨 𝙩𝙚𝙡𝙡𝙞𝙣𝙜 𝙩𝙝𝙚 𝙩𝙧𝙪𝙩𝙝 𝙞𝙣 𝙩𝙝𝙚 𝘽𝙪𝙧𝙞𝙨𝙢𝙖 𝙜𝙖𝙨 𝙨𝙘𝙖𝙣𝙙𝙖𝙡?”.
Nel documentario si sostiene la teoria secondo cui l’amministratore della compagnia del gas Burisma avesse bisogno di Hunter Biden per due motivi: da un lato per non ricevere formalmente sanzioni, dall’altro per poter riciclare i soldi sporchi che la compagnia aveva fatto negli anni precedenti.
● Joe Biden si è impegnato a perseguire una politica americana tutta concentrata nel far riprendere all’Ucraina le zone del Donbass, attualmente dichiarate da Putin "Repubbliche riconosciute dalla Russia".
L’interesse per quelle aree sarebbe stato innescato dal fatto che 𝙡’𝙖𝙧𝙚𝙖 𝙙𝙞 𝘿𝙤𝙣𝙚𝙨𝙥𝙩 𝙚̀ 𝙧𝙞𝙘𝙘𝙖 𝙙𝙞 𝙜𝙞𝙖𝙘𝙞𝙢𝙚𝙣𝙩𝙞 𝙙𝙞 𝙜𝙖𝙨 𝙖𝙣𝙘𝙤𝙧𝙖 𝙞𝙣𝙚𝙨𝙥𝙡𝙤𝙧𝙖𝙩𝙞 𝙛𝙞𝙣𝙞𝙩𝙞 𝙣𝙚𝙡 𝙢𝙞𝙧𝙞𝙣𝙤 𝙙𝙚𝙡𝙡𝙖 𝘽𝙪𝙧𝙞𝙨𝙢𝙖 𝙃𝙤𝙡𝙙𝙞𝙣𝙜𝙨.
● Anche Kolomoysky ha forti interessi sul Donbass, motivo per cui il suo esercito privato di organizzazioni neonaziste, in parte inquadrate nell'Esercito ucraino, dal 2015 𝗵𝗮 𝘀𝘁𝗲𝗿𝗺𝗶𝗻𝗮𝘁𝗼 𝗰𝗶𝗿𝗰𝗮 𝟭𝟲 𝗺𝗶𝗹𝗮 𝗿𝘂𝘀𝘀𝗼𝗳𝗼𝗻𝗶 𝗻𝗲𝗹 𝘀𝗶𝗹𝗲𝗻𝘇𝗶𝗼 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗮 𝗰𝗼𝗺𝘂𝗻𝗶𝘁𝗮̀ 𝗶𝗻𝘁𝗲𝗿𝗻𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗮𝗹𝗲.
● In base a quanto emerso nel Pandora Papers e riportato dal "𝗧𝗵𝗲 𝗚𝘂𝗮𝗿𝗱𝗶𝗮𝗻" 𝗱𝗲𝗹 𝟯 𝗼𝘁𝘁𝗼𝗯𝗿𝗲 𝟮𝟬𝟮𝟭, Zelensky detiene quote azionarie di tre società off-shore. Una di queste, Film Heritage, è registrata in Belize.
Dalla documentazione spicca che Film Heritage detiene il 25% delle quote societarie di Davegra, azienda con sede a Cipro.
● A sua volta, Davegra possiede Maltex Multicapital Corp, società registrata nel paradiso fiscale delle Isole Vergini Britanniche. Zelensky e i fratelli Shefir detenevano ciascuno il 25% delle quote societarie.
● Circa sei settimane dopo la vittoria di Zelensky, nel 2019, l’avvocato di Kvartal 95 ha siglato un ulteriore documento. Si legge che Maltex avrebbe continuato a pagare i dividendi alla società di Zelensky, la Film Heritage, nonostante quest’ultima non possedesse più alcuna azione della società. Dal 2019, unica proprietaria di Film Heritage è Olena, moglie di Zelensky.
🔎 𝗟𝗲𝗴𝗮𝗺𝗶 𝗰𝗼𝗻 𝗼𝗹𝗶𝗴𝗮𝗿𝗰𝗵𝗶, finanziamenti illeciti, introiti miliardari, armi e soldi ai neonazisti.
🔎 𝗟𝗮 𝗿𝗲𝘁𝗲 𝗱𝗶 𝗰𝗼𝗺𝗽𝗮𝗴𝗻𝗶𝗲 𝗻𝗲𝗶 𝗽𝗮𝗿𝗮𝗱𝗶𝘀𝗶 𝗳𝗶𝘀𝗰𝗮𝗹𝗶 sarebbe stata messa su da Zelensky e dai suoi soci nella società di produzione televisiva Kvartal 95 già nel 2012.
🔎 𝗨𝗻 𝗱𝗶𝗰𝗵𝗶𝗮𝗿𝗮𝘁𝗼 𝗶𝗻𝘁𝗲𝗿𝗲𝘀𝘀𝗲 𝗮 𝗳𝗮𝗿 𝗮𝗱𝗲𝗿𝗶𝗿𝗲 𝗹'𝗨𝗰𝗿𝗮𝗶𝗻𝗮 𝗮𝗹𝗹𝗮 𝗡𝗔𝗧𝗢, piazzando basi missilistiche americane ai confini della Russia, invocando la no-fly zone e l'uso della bomba atomica.
Alla luce di questi fatti, resta da chiedersi se il presidente ucraino sia davvero l’eroe che i mass media occidentali stanno rappresentando.
~Grazie al compagno Daniele Kalidou che martedì ha pubblicato questo post pieno di informazioni importanti, che meritano di essere condivise. 
Quindi tra lo Zar Putin e l'Attore Zelensky , conviene che l'italia investa in Energia Rinnovabile Piuttosto che in Armamenti .


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Chi è Volodymyr Zelensky?


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08/04/22

Fotografia in cui Einstein fa la Linguaccia


Fotografia in cui Einstein fa la Linguaccia


La storia di come un fotografo ha colto l'occasione per rompere i paradigmi con un'immagine di Einstein in una posa bizzarra che ha fatto la stori
La vera storia dell’iconica fotografia in cui Einstein fa la linguaccia
Quasi sempre, dietro un’immagine c’è una storia che vale la pena conoscere. È il caso della (forse) più famosa fotografia in cui Albert Einstein ha i capelli arruffati,
 i baffi caratteristici, gli occhi spalancati e fa la linguaccia. 

Probabilmente la maggior parte della popolazione mondiale è in grado di identificare Albert Einstein, scienziato tedesco di origine ebraica considerato il più popolare grazie ai suoi studi scientifici, per lo sviluppo della teoria della relatività, per la spiegazione teorica 
del movimento Brownian e l’effetto fotoelettrico.


 
Tenendo conto del suo prestigio come scienziato, è probabile che attribuiamo ad Einstein un carattere parsimonioso e oggettivo. Tuttavia, era conosciuto per un senso dell’umorismo piuttosto sarcastico. Ad esempio, si vocifera che, in un’occasione, alla fine degli anni ’40, Marilyn Monroe e lo scienziato si incontrarono nel corso di un evento. L’attrice si avvicinò e disse: “ Che cosa dici, professore? Dovremmo sposarci e avere un figlio insieme. Immagini un bambino con la mia bellezza e la sua intelligenza ? “. Einstein, in tono sarcastico, rispose: “Purtroppo, temo che l’esperimento andrebbe diversamente e finiremmo per avere un figlio con la mia bellezza e la sua intelligenza“. Vale la pena notare, a questo punto, che l’attrice aveva un QI di 165, che era 5 punti più alto di quello di Einstein.


La storia dietro questo gesto iconico
E’ possibile pensare che il gesto non sia altro che uno scherzo fatto ai giornalisti. Tuttavia, la vera storia è lontana da questa versione. La verità è che questa immagine – che ora possiamo trovare ovunque, come camicie e persino tazze – è stata catturata nell’anno 1951 da un fotografo dell’agenzia di stampa United Press International, tale Arthur Sasse.

Nello specifico, la fotografia è stata scattata proprio mentre Albert Einstein stava lasciando il Princenton Club, dove stava celebrando una festa per il suo 72esimo compleanno, insieme a Frank Aydelotte, direttore dell’Istituto per gli studi avanzati negli Stati Uniti, dove lo scienziato stava sviluppando le sue ricerche, oltre a Marie Jeanette, la moglie del regista.

Fotografia in cui Einstein fa la Linguaccia


 
A questo proposito, uno scrittore di origine francese, Fred Jerome, narra in uno dei suoi libri più popolari, che Einstein, dopo aver lasciato la festa, abbia proprio posato davanti alla macchina fotografica. Una volta fatto il primo scatto, proprio quando il vincitore del Premio Nobel per la fisica 1921 era pronto a lasciare il posto, il fotografo Arthur Sasse gli si avvicinò e chiese un’altra fotografia.

Che fosse esausto dopo l’evento o stanco di essere inseguito dai giornalisti e, forse, sotto l’influenza dell’alcool, lo scienziato fece il famoso gesto di sporgere la lingua per sabotare la missione dei fotografi. E Sasse fu l’unico tra quelli presenti abbastanza veloce da catturare il momento con la sua macchina fotografica. In questo modo, Sasse ha colto l’occasione per rompere i paradigmi con un’immagine di Einstein in una posa curiosa e in un periodo in cui le persone erano abituate a vedere fotografie di personalità riconosciute con pose molto formali e quasi istituzionali.

Tenendo presente questo assunto, iniziò un dibattito tra i redattori intorno all’immagine, perché pensavano che la fotografia potesse comportare un’offesa verso lo scienziato. Tuttavia, pur con tutti i rischi, l’agenzia decise di pubblicarla. Dopo di che, non solo Einstein non ne sembrò disturbato, ma ne fu talmente fiero e divertito da richiederne nove copie da inviare ai suoi amici più cari.

Dopo alcuni anni, e dopo la morte di Einstein, le copie originali della foto sono state messe sul mercato. Ad esempio, nel 2009, una copia fu venduta all’asta per 74 dollari. Più tardi, nel 2017, la casa d’aste di Los Angeles Nate D. Sanders vendette un’altra copia per la somma di 125.000 dollari, che corrisponde al minimo di offerta fissato dalla società per questo prezioso oggetto. Tuttavia, quando ne ha annunciato la vendita, l’identità dell’acquirente e 
l’attuale proprietario della fotografia non è stata rivelata.

In particolare, a differenza dell’immagine che comunemente conosciamo, nella quale viene mostrato solo il volto dello scienziato, non è tagliata ma vede Einstein in macchina con i suoi compagni. 




La storia della Fotografia in cui Einstein fa la Linguaccia

 

Vedi Albert Einstein o Marilyn Monroe? 

Prova ad allontanarti dallo schermo ...







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Vedi Albert Einstein o Marilyn Monroe ?


Vedi Albert Einstein o Marilyn Monroe?


Vedi Albert Einstein o Marilyn Monroe? 

Prova ad allontanarti dallo schermo ...


Si dice che, a seconda della percezione che si avrà, si scoprirà se si hanno o meno dei problemi di vista. Coloro che vedono Marilyn avranno bisogno di indossare degli occhiali da vista, mentre quelli che vedono Einstein avranno una vista perfetta.

Se i proprio occhi infatti sono perfettamente in salute sono capaci di scorgere le rughe dello scienziato, ciò porta il cervello ad ignorare l’immagine di Marilyn. L'immagine è stata creata con la sovrapposizione di una foto sfocata della diva con quella dello scienziato e l’effetto ottico è incredibile. In particolare, la foto cambierà ogni volta che ci si avvicinerà o ci si allontanerà dallo schermo. Da vicino, siamo tutti capaci di scorgere i baffi e le rughe di Einstein, mentre all’aumentare della distanza, se si hanno dei problemi di vista, si vedrà un’immagine più sfocata, priva di dettagli, ed è per questo che si scorgeranno solo la bocca, il naso e i capelli di Marilyn.

Questa illusione ottica è stata creata diversi anni fa dai neuroscienziati del Institute of Technology del Massachusetts ed è stato dimostrato che, a seconda della propria capacità di mettere a fuoco, l’occhio sceglierà quali dettagli scorgere. Il team di ricercatori guidati dal dottor Aude Oliva ha affermato che queste immagini non solo rivelano dei possibili problemi di vista, ma permettono anche di mettere in evidenza il modo in cui il cervello riesce ad elaborare le informazioni. “Vedi Marilyn o Einstein?” diventerà sicuramente la nuova domanda che farà impazzire il web.

La storia della Fotografia in cui Einstein fa la Linguaccia




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La storia della Fotografia in cui Einstein fa la Linguaccia ...
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05/04/22

Matteo Salvini sei uno Sciacallo

Matteo Salvini sei uno Sciacallo


Ricordate quando Matteo Salvini querelò Ilaria Cucchi?
Bene, abbiamo la sentenza. Ha vinto Ilaria Cucchi.
Il Tribunale di Milano ha ritenuto che le espressioni di Ilaria - che definì Salvini uno sciacallo - fossero giustificate e attinenti al contesto.
Tutta la storia era cominciata il 14 novembre 2019, dopo la notizia della condanna a 12 anni da parte della Corte d’Assise di Roma per i carabinieri imputati per omicidio preterintenzionale ai danni di Stefano Cucchi, dieci anni dopo della sua morte.
Salvini commentò la sentenza dicendo: “Questo testimonia che la droga fa male sempre e comunque”.
Ilaria lo definì uno “sciacallo”, e poi arrivò la querela. 
A distanza di un anno e mezzo possiamo dire che Matteo Salvini è uno sciacallo,
 senza che questo costituisca reato. 
Matté Sciacallo , fattene una ragione!

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04/04/22

Jona Mullaraj Leghista Signora della Droga

Jona Mullaraj  Leghista  Signora della Droga

Condannata a 3 anni e 8 mesi
di Federico Berni
Saronno, l’imprenditrice Jona Mullaraj condannata per un carico da 450 chili nascosto in un box a Cesano Maderno, in Brianza. Farà ricorso in Appello: «Estranea alle accuse»

Condannata a 3 anni e 8 mesi di reclusione con l’accusa di essere una «signora della droga». Jona Mullaraj, 36enne di origini albanesi, sostenitrice e «pasionaria» leghista di Saronno, come dimostrano le molte foto con politici locali e con Matteo Salvini ostentate sui social, arrestata ai primi di dicembre per una vicenda di droga legata a un carico da 450 chili nascosto in un box a Cesano Maderno, in Brianza. La sentenza è stata pronunciata giovedì 24 marzo dal gup di Monza Silvia Pansini che, oltre alla donna, ha condannato per detenzione a fini di spaccio anche Bruno La Marca (per lui 3 anni e 10 mesi), Alessandro Barbieri (3 anni e quattro mesi) e ha accolto il patteggiamento a 4 anni e mezzo per Rosario Abbene. Sessanta giorni il termine per il deposito delle motivazioni della sentenza.

La difesa e il ricorso in Appello
Sicuro il ricorso in Corte d’Appello contro il provvedimento, come annunciato dal difensore dell’imprenditrice, l’avvocato Gianluca Crusco, che all’inizio di marzo ha ottenuto la scarcerazione della sua assistita per scadenza dei termini di custodia. Seconde l’accusa, la donna era la reale detentrice di una partita di droga che, come ricostruito dagli investigatori dei carabinieri di Desio, superava i quattro quintali. Per custodirla, era stato affittato il garage di Cesano in via de Medici, con un contratto intestato a un’altra donna, che poi si era rivelata una prestanome.

Il garage della droga
Qualcosa, però, era andato storto, e l’uomo che sarebbe stato incaricato dalla 36enne di custodire la droga, il 45enne con precedenti Abbene, avrebbe messo in scena il furto della partita di droga, avvalendosi della complicità di Barbieri e La Marca.
 Jona Mullaraj si è sempre detta estranea alle accuse.


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Lettera Aperta al Segretario del PD di Michele Santoro

   
Lettera Aperta al Segretario del PD di Michele Santoro


Caro Segretario Letta, 
osservo con sgomento gli attacchi che il suo partito rivolge contro quelle poche voci dissonanti, giornalisti e intellettuali, che osano sollevare qualche interrogativo sulla guerra in corso in Ucraina. 
Chi le scrive a 18 anni era in piazza contro l’invasione da parte dei carrarmati russi della Cecoslovacchia; e quando, pochi mesi dopo, Jan Palach si diede alle fiamme in piazza San Venceslao a Praga, occupava l’università con un gruppetto esiguo di studenti. 
Non ho mai avuto simpatie per Putin. Una mia trasmissione è stata tra le poche voci a denunciare gli orrori dei massacri in Cecenia e a considerare con disprezzo chi definiva una
 “democrazia con qualche difetto” la Russia di oggi. 
Lei sa che, invece, padri nobili del suo partito hanno giustificato l’intervento armato del patto di Varsavia o hanno civettato a distanza con Putin sul superamento della democrazia. Il rispetto dei confini nazionali e dell’autodeterminazione dei popoli, le regole internazionali, esistono per molti a giorni alterni. L’Iraq di Saddam e la Libia di Gheddafi, per esempio, erano stati sovrani ma per rovesciare i dittatori si potevano bombardare. Come vede, Putin ha preso parecchie lezioni dalla Nato. I bombardamenti di Belgrado erano “illegali ma legittimi”; la modifica violenta dei confini della Serbia e la creazione di uno stato indipendente nei territori abitati in maggioranza dagli albanesi “erano l’unica soluzione per tutelare i diritti di una minoranza”. “L’Operazione Arcobaleno” terminò con l’allargamento della Nato ma “esclusivamente per ragioni umanitarie”. 
Invece, i russofoni separatisti in Ucraina sono “servi di Putin”, non hanno la stessa dignità dell’UCK di Hashim Thaçi, che grazie a quella “Operazione” divenne Primo Ministro, Ministro degli Esteri e Presidente della Repubblica del Kosovo. Oggi è sotto processo per crimini di guerra contro l’umanità davanti al Tribunale dell’Aia. Dettagli. Era proprio necessaria la nascita di quello Stato? Non bastava una vera autonomia amministrativa garantita da osservatori internazionali dell’Onu, la stessa che si sarebbe dovuta concedere al Donbass dopo una guerra ignorata che ha già fatto quattordicimila morti?
I principi vanno, vengono e oscillano come il dollaro. Putin va processato per crimini di guerra, giusto. E Bush, che ha provocato più di un milione di vittime in Iraq, no? 
Denazificare non è come deterrorizzare? 
Abbiamo una legge che impedisce a volontari di andare a combattere in un paese straniero. Perché? L’Italia che bandisce la guerra considera un reato partecipare a una guerra in un paese straniero: ci potrebbe far apparire come cobelligeranti. Mandare armi come ci fa apparire?
 Allo stesso modo degli Stati Uniti.
Caro segretario Letta, vedo Lei e Draghi avvolgersi nella bandiera dell’Ucraina aggredita e rimanere inerti. Non avete pronunciato una sola parola per l’incredibile invito all’escalation di Biden. In compenso siete attivissimi nel ridurre al silenzio qualunque voce fuori dal coro. In nome della libertà avete steso sull’informazione un velo di uniforme conformismo che nemmeno ai tempi di Berlusconi. La Rai fa pena: il dolore dei civili scorre nei video come un flusso senza punti interrogativi. Non si deve certo nascondere il dolore, come fa Putin con le sue televisioni. Tuttavia nei telegiornali mancano i perché, le analisi, le valutazioni imparziali sull’andamento della guerra, mentre abbondano gli annunci di vittoria di Zelensky e le sue esortazioni a fare di più. Più armi, più guerra, più massacri. Il problema è per fare che cosa. Ha ragione o ha torto quando dice “non avete il coraggio”? Dovremmo rischiare una terza guerra mondiale e la distruzione del mondo? Per far fare a Putin la fine stessa di Saddam e di Gheddafi senza che prema il bottone rosso? Gli insulti di Zelensky, le accuse di codardia, meritano una risposta da parte sua, caro segretario Letta. Lo strazio dei massacri, l’orrore di questa invasione di cui Putin dovrà portare la colpa di fronte alla storia, devono essere interrotti da un accordo senza vincitori o la guerra deve finire con la caduta di Putin? Il suo partito gronda di sdegno e di indignazione ma non sembra avere una risposta per questa domanda assai semplice, una visione da interporre tra quella del Presidente americano e quella del Presidente russo. Infatti dobbiamo affidarci a Erdogan per una terza visione, per sperare in un cessate il fuoco. Erdogan, l’autocrate “buono” di turno che aderisce alla Nato. E l’Europa? È una parola che ormai si usa quando non si sa bene cosa dire, una cassa di missili affidata agli americani. Niente di più.

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La Russia di Putin di Anna Politkovskaja

La Russia di Putin di Anna Politkovskaja


Libro senz'altro da leggere, oggi più che mai!
Le parole profetiche di Anna Politkovskaja su Vladimir Putin.
La coraggiosa giornalista russa Anna Politkovskaja, assassinata a Mosca il 7 ottobre 2006, nei suoi ultimi scritti aveva espresso una severa condanna al regime di Putin. Parole che oggi appaiono profetiche.
Nel prezioso libro inchiesta La Russia di Putin (Adelphi, 2005, trad. di Claudia Zonghetti) la giornalista Anna Politkovskaja rendeva testimonianza delle vicende pubbliche e private dell’attuale Russia, soffocata da un regime che, dietro la facciata di una democrazia in fieri, 
si rivela ancora avvelenato di sovietismo.

Nel saggio, Politkovskaja affermava senza mezzi termini:

Con il presidente Putin non riusciremo a dare forma alla nostra democrazia, torneremo solo al passato. Non sono ottimista in questo senso e quindi il mio libro è pessimista. Non ho più speranza nella mia anima. Solo un cambio di leadership potrebbe consentirmi di sperare.

Parole che oggi appaiono profetiche. Anna Politkovskaja fu uccisa a Mosca, il 7 ottobre 2006, in un agguato. Era da poco rientrata a casa con le borse della spesa quando quattro proiettili la colpirono nell’antro dell’ascensore. L’ultimo le fu sparato in fronte, fu un’esecuzione.
La data, il 7 ottobre, non sembrava casuale: il giorno del compleanno
 del primo ministro Vladimir Putin.
I funerali della giornalista si svolsero tre giorni dopo, il 10 ottobre, e nessun rappresentante del governo russo vi partecipò per lasciarle un ultimo omaggio. Il Cremlino non le avrebbe mai perdonato le critiche mosse al potere. Dopo la sua morte, Putin si difese dalle accuse mosse dagli oppositori definendo quell’omicidio un complotto ai danni della sua immagine.

Sulle prime pagine del quotidiano per cui lavorava, la Novaja Gazeta, la giornalista si batteva da anni per i diritti umani, in particolare quelli della minoranza cecena, e condannava nero su bianco la condotta politica criminale del presidente Putin. Nel giugno 1999 Politkovskaja era entrata nella redazione della Novaja Gazeta e, in quello stesso periodo, iniziò a pubblicare alcuni libri fortemente critici sul Presidente della Federazione Russa in merito alla conduzione della seconda guerra cecena e dell’invasione del Daghestan e Inguscezia...
(da Solo libri)


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